venerdì 8 agosto 2008

mercoledì 23 luglio 2008

Le lezioni del Cavaliere


CAPITOLO II: ROM A CAPUT MUNDI 1592- 1598
Le lezioni del Cavaliere e di Monsignore


Prima lezione: non è questo ciò che ti ho chiesto di fare....

Quando giunsi a Roma nel Maggio del 1492 non avevo con me nulla. possedevo solamente quel poco di arte che il maestro Pederzano mi aveva insegnato a Milano e la buona volontà di imparare ancora. I primi mesi furono molto difficili e mi ammalai nel gennaio del ‘93 di una forma strana di febbre fredda. Le gambe e le mani mi tremavano , mentre dalla bocca schiumava una saliva densa e salata. Anche le gengive dei denti mi sanguinavano con facilità e non riuscivo a deglutire normalmente. All’ Ospedale dela Consolazione non sapevano di cosa si trattasse e difatti i sintomi si attenuarono fino a scomparire del tutto dopo tre mesi. La fortuna volle che il frate francescano dell’ospedale mi prese in simpatia per la mia buona educazione, raccomandandomi di andare nella bottega del Cavalier D’arpino, in quegli anni considerato un valente artigiano dell’arte. Dopo alcuni mesi trascorsi a dipingere fiori e frutta , il Cavalier mi prese in disparte per raccomandarmi di lasciar perdere tutto ciò che avevo imaparato a Milano.
“Michelangiolo, osservo i tuoi lavori e riconosco che sei bravo, hai un certo talento nell’imitare la natura, ma non è ciò che ti ho detto di fare. La vedi questa frutta, e questi fiori?, - mi domandò indicandomi alcune tele appoggiate per terra.- Ebbene, non c’è che dire, dipingi ciò che vedi , ma non è questo che ti ho chiesto di fare. Devi togliere dalla superficie delle cose la polvere che ne offusca la bellezza intrinseca, mi capisci? Devi fare bello anche ciò che non è perfetto e rendere splendente anche ciò che non riflette la luce. La luce è tutto, poichè è la luce che giunge all’occhio e l’occhio non ama i soggetti spenti, privi di vita o inanimati. E se la superficie delle cose non ti appare sufficientemente lucida per riflettere la luce naturale, ti autorizzo a inventare la frutta e i fiori con la tua immaginazione. Devi essere più attento alla superficie degli oggetti e se la superficie non è idonea a ricevere la luce della tua immaginazione , devi togliere la polvere, rimuovere la buccia e lasciare che sia la tua arte ad ammantare di bellezza ogni minimo particolare.” Il cavaliere fece il gesto con la mano di togliere la polvere dal vetro. “Eppoi, non lamentarti che qui dentro è troppo buio. Ridipingi la parete di bianco, circondati di lenzuola, insomma usa un pò il cervello. Il bianco riflette la luce. Lo sai benissimo che non posso farti lavorare nella sala grande. Sei l’ultimo dei miei garzoni, ma mi dispiacerebbe doverti licenziare per la tua cocciutaggine ad essere fedele al tuo modo di vedere le cose. Qui non siamo a Milano. In questa città è richiesta un altro tipo di arte. La verità non interessa a nessuno. Chi compra da me desidera solamente abbellire la dimora e far sembrare lussuoso anche ciò che non è. Ricordati di pulire meglio i tavoli e di essere più puntuale nelle consegne. E soprattutto: ricordati bene di fare ciò che ti chiedo di fare...niente di più, niente di meno.”Seconda lezione: la trinità degli artisti...

Di giorno lavoravo per il cavaliere, mentre al tramonto, nelle profumate sere dell’estate romana, iniziai a dipingere per me stesso con l’intenzione di fissare sia nella tela che nella memoria le parole di chi aveva più esperienza di me. Mi concentrai a dipingere di nuovo la canestra di frutta che collocai di nuovo al centro della tela. La luce delle candele era appena sufficiente per delineare i contorni dei volumi, mentre lo sfondo era buio come la pece. Mesi in pratica le raccomandazioni del cavaliere e mi sforzai di creare una luce solare morbida come quella delle candele, ma nello stesso tempo intensa, bianca e così raggiante da far risplendere non solo i colori naturali della frutta e delle foglie, ma anche l’intreccio della canestra. Non stavo dipingendo dal vero, ma proiettavo sulla tela una immagine che era solo dentro la mia testa. Ero alla ricerca della bellezza naturale, ma tale bellezza non l’avrei ricomposta neppure in natura, pur aspettando con pazienza la giusta inclinazione della luce del sole in una giornata di fine estate. La luce si specchiava sulla superficie delle mele e sugli acini di uva, mente le foglie attutivano il suo diffondersi. Capii che avrei potuto dipingere in quel modo qualsiasi soggetto e così, dopo un paio di tentativi piuttosto incerti, mi decisi di rappresentare me stesso nel gesto di sostenere la canestra. Il disegno, il colore e la luce come terzo elemento mi rammentavano alla memoria le parole del cavaliere che si divertiva a coniugare il sacro con il profano:
“Il disegno è il Padre di tutta l’opera: ad esso si accompagna l’intelletto capace di costruire le forme, le geometrie e i rapporti armonici tra le parti. Al colore spetta il compito di dare l’anima al dipinto, un pò come il figlio di Dio che discende nella materia per riempirla di sentimenti, di ideali e di effetti spirituali. La luce infine è come lo Spirito Santo. Discende sulle forme create dal Padre e vivificate dal Figlio per stabilire la giusta collocazione nell’ordine cosmico. Questa è la trinità che gli artisti devono adorare, affinchè possa discendere nell’animus l’ispirazione divina. Ricordati di puntare lo sguardo sopra il dito pollice che protendi sull’oggetto - il cavaliere mi insegnò il gesto di allungare il braccio destro e di far sporgere il pollice come fosse il mirino di un arciere, - e di osservare i soggetti con l’occhio principale, che una volta aperto non si discosta la sua mira da quello del pollice. Hai capito?.”
Il cavaliere mi chiedeva in continuazione se avvessi compreso le sue parole. Sapeva di essere poco paziente nel descrivere le cose , e per questo si aiutava con ampi gesti dimostrativi. Ebbene. Il mio occhio destro mi aveva guidato e così feci scendere una linea perpendicolare dalla pupilla fino al centro di un fico maturo. Poi costruii il triangolo a partire dal vertice dei capelli, anche se poi mi sembrò un pò azzardato disegnare un ciuffo così elevato. Alla fine decisi di dipingere il lenzuolo bianco dalla parte del braccio destro, poichè spettava al Figlio, ovvero all’anima, assorbire la luce dello spirito e rendere viva la scena.” . Dopo qualche giorno il cavaliere si accorse del dipinto e lo sequestrò. Non ne seppi più nulla., ma fu solo l’inizio...

Terza lezione: evita i colpi, rinuncia al’orgoglio: meglio infingardo che ingenuo.

Dopo qualche mese da quel primo timido tentativo di introspezione, il cavalier D’Arpino mi prese da parte. Era in un certo senso eccitato, ma anche preoccupato del futuro della bottega. Aveva ricevuto l’invito a partecipare al concorso per la realizzazione di un dipinto da fare nella cappella dei frati di santa geniveffa, m anon era certo di volerlo fare.
“Adesso è venuto il momento che devi fare qualcosa per me. Ho menzionato il tuo nome al Collegio dei frati. Lo sai come sono gli ecclesiastici: piangono sempre che non hanno soldi e nello stesso tempo ti lusingano perchè lasciano intendere di avere una forte influenza su cardinali e papi. In questo momento sono pieno di lavoro arretrato da consegnare e non ho intenzione di impelagarmi con un committente così permaloso e difficile da accontentare. Allora ho detto che potevi essere tu l’artista in grado di soddisfare tutte le loro esigenze. In effetti, a parte il caratteraccio che ti ritrovi, sei la persona giusta per leccare il culo quanto basta affinchè non si perda la stima del papa. Tuttavia devo avvertirti che non sarà facile per te comprendere il loro punto di vista. Ti manca ancora la giusta esperienza per trattare di denaro e certamente ti obbligheranno ad eseguire per filo e per segno ciò che hanno in mente di fare. Ciò non significa che devi chinare la testa e subire passivamente ogni loro proposta. Ti suggerisco invece di adottare un comportamento che ti sarà di grande utilità, sia nel rapporto personale con il committente, sia poi nel gestire il rapporto contrattuale. “ Il cavaliere si mosse dalla sedia da dove mi parlava per prendere una grossa matita.
“Vieni, ti spiegherò con un disegno. Da questa parte, nelal sinistra, ci sono i ricchi Committenti. Dalla perte opposta , sulla destra ci sono coloro che lavorano per guadagnare il pane, offrendo il frutto del loro lavoro. Generalmente il contadino al mercato offre la frutta allargando le braccia verso l’acquirente, nel gesto di mostrare la mercanzia e iniziare così la trattativa sul prezzo. Nei nostri contratti invece avviene il contrario e devi stare bene attento alle tue azioni e alle tue parole. Il contratto stabilisce a priori il prezzo che si dovrà pagare per l’opera. Ciò significa che per quanto sarà buono il tuo lavoro, il cliente non sarà mai soddisfatto di ciò che gli viene offerto poichè la considerazione che egli ha del suo denaro sarà sempre superiore della merce che gli viene offerta sul piatto. La bilancia pesa il frutto del tuo lavoro, ma sulll’altro piatto non c’è un piombo qualsiasi, ma un peso tale da far affondare anchei Michelangelo, che , come ben sai, era abile nei contratti e astuto nel far sospirare d’impazienza. Il gioco richiede quindi sagacia, tempismo e una certa dose di vittimismo indispensabile per avanzare riserve di ogni genere e ottenere subito e senza indugio gli acconti necessari per andare avanti. Mi hai capito, vero? Quante volte mi hai sentito dire ai clienti di non poter procedere nei lavori perchè avevo il garzone ammalato, in lutto o con la madre in ospedale? “ Il cavaliere rise da solo. Per fortuna riuscii ad evitare la manata sulla mia spalla destra, ritaendomi come uno schermidore. Quarta lezione: percepire è un’arte, mettila da parte e fanne la tua arte

Trascorsi due anni nella Bottega del Cavaliere, fino a quando il parroco della parroccchia di San Salvatore mi diede l’pportunità di avere la comodità di una stanza dove dormire. Il Monsignor Fantin,anch’egli ospite della parrocchia, mi aveva affidato l’incarico di realizzare un dipinto sul tema della Sacra famiglia su suggerimento del Cavaliere che così aveva trovato la garbata maniera di farmi sloggiare dal retro bottega, in quanto aveva in previsione un allargamento.
Un giorno mi fece visita in camera e si accorse dell’autoritratto in cui mi vestivo con i panni di Bacco, pallido, smagrito e un pò malaticcio.“Interessante questa maniera di commuovere i tuoi clienti. Non pensare di impietosirmi con questi trucchi degni del Cavaliere. Ah, mi piace questo modo di dipingere le vesti bianche, voglio che tu lo faccia anche nel dipinto in cui ci deve essere Giuseppe e Maria durante la fuga in Egitto. Interessante, sì..... “Il monsignore si era accorto delle sottili linee che formavano i due triangoli contrapposti. Non le avevo ancora cancellate e ilsegno era visibile a chi osservava da vicino. “Umh, il numero due! moltiplicato per tre! Due sono le esigenze che insorgono in noi quando consideriamo i fenomeni della natura attraverso la percezione: conoscere compiutamente i fenomeni stessi con spirito critico e assimilarli dentro noi stessi con la riflessione. Il tuo Bacco volge le spalle al sole e questo è un gesto di riflessione, tipico di chi si ammala poichè non vuol guardare in faccia alla realtà, o di chi diventa melanconico, riflessivo e filosofo. I due triangoli contrapposti esprimono un bisogno di completezza che ci conduce all’ordine e l’ordine esige un metodo. Anche gustare l’uva o quasiasi cibo della natura richiede metodo, intelligenza, abilità poichè il metodo facilita l’esperienza sensoriale, affina il gusto e facilita le rappresentazioni. Mangiare è un’arte che si pratica a Roma sin dall’ Impero. Se consideriamo un oggetto in tutte le sue parti e lo afferriamo, prima con la sensazione e poi con la giusta considerazione di quanto piacere sia in grado di offrirci, allora possiamo riprodurlo fedelmente nello spirito, e per spirito intendo le facoltà della visualizzazione, dell’immaginazione e della meditazione creativa capaci di riprodurre lo stesso piacere nella mente, specie se abbiamo fame o desiderio di godere. Dobbiamo quindi scindere l’oggetto secondo una linea orizzontale euna linea verticale. La prima ci permette di appropriarci fisicamente e sensorialmente dell’oggetto, attraverso l’azione e la percezione poste alle due estremità della linea, mentre la linea verticale ci aiuta a compiere il procedimento di assimilazione, di comprensione e di riproduzione operata dall’anima, dalla mente e dall’intelletto. Così com eil cibo scende dall’alto verso il basso, così il cibo della conoscenza sale dal basso verso l’alto. Questo duplice metodo di riflessione è stato definito dai san Francesco con una parola: contemplazione. Chi contempla attraverso questa croce di linee si appropria del nettare divino, gusta il cibo di Dio e sente che ogni cosa gli appartiene, così come gli acini di frutta appartengono a un unico grappolo.

Quinta lezione: chi sale verso l’alto....

Il Monsignore mi fece visita una seconda volta, qualche mese dopo. Avevo appena iniziato a dipingere la Fuga dall’Egitto, ma non volevo discutere del mio lavoro. Gli chiesi di parlarmi di San Francesco e del significato della sua contemplazione.
“Su che cosa contemplava il santo? Non certo sulle immagini, ma sulle parole che l’anima gli suggeriva di scrivere e che egli stesso, in quanto intelletto, non era in grado di comprendere pienamente.” Monsignor Feltrin comprese che le sue parole avevano destato la mia curiosità.
“L’anima evolve attraverso le potenze femminili in forme autonome fino ad assumere una dimensione angelica che trascende la coscienza individuale. La meditazione sulle proprie esperienze conduce il poverello a cedere il passo all’ascesa della sua anima spirituale, capace di salire dal fondo fino alle sommità della sua testa, il Regno dei cieli. Monsignor Feltrin tracciò una croce nella tela, definenso con tre numeri cardinali i tre punti di intersecazione del filo verticale simbolo del cammmino verticale percorso dall’animus (1) per evolvere in mens (II) e infine in intellectus(III). “Sto cercando di semplificare alcuni concetti che sono il fondamento della spiritualità francescana figlia delle intuizioni di Agostino. Cos’è l’elemento straordinario di Francesco? La predicazione e l’intellezione non sono per lui due cose separate poichè attraverso la parole, la costruzione di significati aderenti alla sua personale esperienza, costituisce di fatto il testamento spirituale della sua anima sulla terra. Ogni uomo che abbia cura della sua anima, compie il proprio destino. Ogni uomo che evolve l’anima animale in anima psirituale- e nel pronunciare queste parole Monsignore congiunse il pollice con l’indice- entra in contatto con il fondo (I) da cui può emergere la verità di Dio. Da questo insondabile fondo buio, a cui prima si giunge attraverso un difficile lavoro di rinuncia ai beni materiali, all’onore del nome e allla gloria mondana, il novizio può intraprendere il cammino della conoscenza di sè in quanto “angelo protatore di luce”. Lucifero, l’angelo della rivelazione di cui parlano le sacre scritture, illumina la via dell’assimilazione conoscitiva della luce divina che ascende dal fondo dell’anima fino alla sommità dell’intelletto intuitivo(III), luogo mistico in cui l’essere comunica con la fonte della verità. L’illusione dell’intellectus di Lucifero di acquisire il potere della coscienza e dello sguardo di Dio è profondamente radicato nell’uomo. I due fili della croce non si possono disgiungere. Chi sale verso l’alto deve anche fare voto di rinuncia della libido di dominare il mondo con i poteri angelici e ciò puo essere fatto attraverso l’educazione della mente (II).” Non capivo fino in fondo le parole del chierico, ma quando uscì dalla mia camera, tracciai con più forza la croce e i punti di intersezione e collegai i quattro angoli tra loro a formare uno spazio chiuso. Mi sembrava uno schema buono per dipingere al suo interno San Francesco e Lucifero, entrambi trasformati dal potere della croce di redimere dal peccato originale chiamato da Agostino libido, desiderio di possesso, volontà di dominio, follia razionalizzatrice. Quinta lezione: l’uomo psichico si gfuarda allo specchio...

IlIl giorno seguente Monsignor Feltrin irruppe nello studio in un uno stato di visibile eccitazione.
“Non ho dormito tutta la notte. E’ incredibile. La croce di cui ti parlavo ieri mi è diventata improvvisamente chiara, nitida, come non mai.” Monsignore non stava più nella pelle e mi tolse la matita di mano per disegnare su una tela ancora bianca il triangolo inferiore simbolo della meditazione e quello superiore, simbolo della contemplazione. Vi aggiunse però delle linee vericali e orrizontali che si intersecano in vari punti delle due rette. “ieri ti ho parlato a lungo della retta verticale in grado di descrivere l’iter della trasformazione dell’anima animale, chiamata da San Paolo sarx, in anima intelleggibile dotata dell’ autocoscienza della materia psichica e infine nell’ anima spirituale in cui predomina l’elemento pneuma di cui è fatto l’intelletto intuitivo. Questa linea, simbolo dell’experienta evolutiva dell’anima, interseca la linea orizzontale in quattro punti che descrivono il processo di illuminazione della Ratio. L’anima conosce il mondo reale camminando sulal terra in orrizzontale. Inizia dall’infanzia e poi nell’adolescenza a sviluppare le qualità che avvertono istintivamente la presenza dei demoni della paura della morte e dell’angoscia dell’abbandono. Poi, dopo un proficuo periodo di riflessione sulla concretezza reale delle proprie sensazioni, l’anima giunge nella “rotula”, il punto nodale in cui avviene il passaggio di materia per cui l’ uomo carnale diventa l’uomo psichico descritto dall’apostolo. L’uomo psichico è come Narciso ...” Monsignore mi guardò con aria interrogativa , ma gli feci segno di continuare. Il cardinale Borromeo mi aveva istruito sui miti greci. “L’uomo psichico si guarda allo specchio e si riflette non solo in se stesso, ma ricerca nelle parole, nelle azioni e nei pensieri altrui un riflesso della propria condizione. L’introspezione , la pratica principale di ogni novizio, è un atto di specchiamento dei propri sentimeneti rispetto al mondo esterno, per cui l’uomo comprende gli altri e la realtà che lo circonda in misura proporzionale a quanta esperienza e conoscenza ha di sè, in quanto anima in evoluzione attraverso la carne, la psiche e il pneuma. Osserva ora il disegno. Attraverso l’autoriflessione l’uomo psichico si confronta con il mondo reale e può iniziare un vero e autentico processo di trasformazione della coscienza. Ascoltando se stesso e le proprie parole Narciso apprende l’arte di evolvere dall’autocompiacimento fine a se stesso e inizia a proiettare il desiderio di conoscenza nel mondo dei sentimenti, delle emozioni e delle sensazioni che si trova al di sotto della superficie acquea. Lo specchio di Narciso è lo strumento per definire la croce della trasformazione della libido materiale e narcisistica in amore, desiderio di verità e di conoscenza”
“La croce di San Francesco?” Monsignore non rispose. La campanella dell’oratorio lo stava chiamando da altre parti. Guardai lo strano schema tratteggiato sulla tela e la piccola croce che compariva al centro del triangolo delal contemplazione e immaginai Narciso nell’atto di riflettersi e di riflettere sul mondo in quanto riflesso di sè. Poi l’immagine svanì in un angolo della memoria

domenica 27 gennaio 2008

caravaggio


Prologo.
Come il santo martire il giorno della sua vocazione
...

Il cardinale mi stava aspettando nel piccolo studio adiacente la chiesetta del paese. Ogni mese il prelato mi convocava per affidarmi piccoli lavori di sistemazione delle parti lignee degli ornamenti sacri o per ritoccare con il colore le statue che addobbavano le pareti dell’edificio. Ero ancora molto giovane, ma lavoravo già da un anno in una bottega di un pittore di Milano e il cardinale riponeva un’insolita fiducia nelle mie capacità artigianali. Entrando nella stanza, il cardinale alzò la testa dal libro che stava leggendo, assorto profondamente in pensieri a me imperscrutabili.
“Ah, il mio giovane artista… stavo pensando a qualcosa da farti sistemare, ma non mi sovviene nulla, per il momento”. Rimasi come al solito abbagliato dal rosso vermiglio del mantello che emergeva dalla tunica bianca come il latte. Restai in piedi ad aspettare che mi dicesse qualcosa o che mi congedasse al più presto, ma quella volta, per un preciso desiderio di “darmi” qualcosa su cui lavorare, il cardinale mi fece accomodare sulla sedia con un gesto eloquente della mano.
“Caro figliuolo, tuo padre mi ha chiesto di insegnarti la dottrina della Chiesa in cambio dei tuoi favori, e ritengo giusto compensare il tuo diligente lavoro con il denaro che Dio distribuisce a coloro che si dedicano anima e corpo alla redenzione dei peccatori. Molte volte mi sono chiesto se questa sia una missione possibile per noi umili servi del Signore, ma la fede nelle facoltà guaritrici della parola divina e le incessanti dimostrazioni dei suoi poteri, mi aiutano quotidianamente ad affrontare con coraggio, speranza e compassione i gravosi impegni della predicazione. L’uomo è inconsapevole di essere un peccatore, poiché agisce seguendo i dettami della carne ed è difficile, anche per noi servitori della Parola di Cristo, prendere atto di essere come tutti gli altri uomini e di peccare forse più delle persone umili e semplici di cuore. La perfezione si raggiunge al termine di una “longhissima via” tracciata dai santi che hanno creduto fino in fondo nell’esistenza del Cristo che si fa carne all’interno di ogni uomo. Tale perfezione non si raggiunge attraverso l’erudizione, l’astinenza o la rinuncia ai piaceri corporali, ma attraverso tre fasi di conoscenza della natura umana, della natura divina e della natura spirituale. Ebbene, se la cosa non ti dispiace, mi metto a tua disposizione per educare la tua anima ai semplici principi di trasformazione della carne nell’amore vivificante di Cristo e infine nella conoscenza del suo spirito.” Il cardinale mi camminava intorno, a testa bassa, gesticolando con le mani nell’evidente sforzo di scegliere le parole giuste affinché potessi comprendere almeno la buona intenzione di tradurre la dottrina cristiana in parole semplici e dirette. Non sapevo cosa rispondere, anche perché il prelato non sembrava interessato alla mia opinione in proposito, ritenendo tale impegno un atto volontario per sdebitarsi dei miei servigi, per cui non potevo sottrarmi. Mi sentii insolitamente nervoso. Giravo il cappello tra le mani come se fossi in procinto di essere sottoposto a un esame di coscienza a cui non avevo mai pensato in vita mia, e mi dimenavo interiormente come un animale in gabbia. “Non voglio costringerti ad ascoltare le mie lezioni e non ti chiederò di comprenderle. Sei ancora giovane, ma hai dimostrato uno spirito di sacrificio nel lavoro che ti distingue dagli altri. Non avere paura di scegliere di rinunciare all’istruzione spirituale, anche perché l’uomo virtuoso agisce secondo la coscienza divina e ogni sua azione, anche la più immediata e istintiva, è pervasa dalla grazia. Il Padre tuo mi ha incaricato di istruirti alla conoscenza della natura umana, delle virtù e dei sacramenti cristiani. Ciò ti sarà di grande aiuto nel tuo lavoro, nella vita e nelle difficoltà.” Il cardinale intrecciò le dita delle mani in attesa di una risposta. Abbassai la testa. Non avevo mai provato un simile turbamento, ma dopo qualche secondo mi sentii più rilassato e annuii, anche se non ero certo che quella fosse una mia precisa volontà. Non avevo mai avuto una vocazione religiosa, anche se mia madre lo aveva desiderato educandomi all’obbedienza, al rispetto e alla buona condotta. Ero un semplice artigiano, ignorante e privo di ambizioni, ma il destino aveva voluto che avessi la possibilità di essere istruito alla dottrina che fino ad allora mi era sempre stata estranea, come il San Matteo che ho dipinto, qualche anno più, tardi seduto a conversare in una osteria della città. In effetti mi sentii in quel momento come il santo martire nel giorno della sua vocazione: la stesso testa china, lo stesso imbarazzo nei confronti degli amici e la paura di non poter più tornare indietro. Cristo mi stava chiamando, dal profondo del mio essere, e San Pietro, nei panni del cardinale, mi indicava tra coloro che potevano intraprendere la Grande Opera e portare a compimento l’annerimento della prima materia. Non avevo scelta. Non potevo che abbassare lo sguardo e farmi riconoscere. Come il santo martire nel giorno della sua vocazione.


Prima lezione:
la natura umana è come un canestro di frutta…..




Le lezioni erano di breve durata. A volte il cardinale mi chiedeva di disegnare il cesto di frutta che si trovava sopra lo scrittoio e senza smettere di parlare, mi indicava le parti del disegno che riteneva non conformi alla realtà.
“Osserva con serenità, non giudicare, lascia che le immagini risplendano di luce propria. Così potrai riconoscere il riflesso opaco di una mela marcia dal riflesso lucente della pera matura, e allo stesso modo, distinguere la differenza tra un fiore appassito da uno appena sbocciato. Freschezza e decadimento, lucentezza e opacità, armonia e contrasto. Solo con un paziente lavoro di osservazione è possibile percepire la composizione in tutte le sue contraddizioni. Non ci sono sfumature da cogliere , ma solo stati di vitalità, di maturazione o di verità. Nella luce non esiste la dimensione del compromesso e della gradazione dei valori, ma unicamente stadi assoluti identificati dal colore rosso, verde e blu. La conoscenza della natura umana ti permetterà di procedere con ordine poiché il giallo, il colore proiettato dalla percezione sensoriale, permette di trasformare gradualmente il rosso in marrone, fino a definire tutte le gradazioni del verde. Questa prima operazione di differenziazione operata dal giallo corrisponde a una specifica opera di apprendimento delle virtù cardinali, l’unico antidoto che l’uomo dispone per discriminare la frutta marcia, il buono dal cattivo, il giusto dall’iniquo. Ecco, adesso il cesto di frutta è ben equilibrato: anche se l’immagine disegnata non corrisponde a ciò che si vede in realtà. Ciò che hai disegnato è un’interpretazione della vitalità, della maturazione e della verità operata dall’anima in conformità a un codice di valori che mutano in continuazione con l’esperienza e la conoscenza. Profondità, equilibrio delle forme e dei volumi, armonia compositiva e discriminazione prima intuitiva e poi cognitiva delle ombre sono parametri che permettono sia all’artista che al discepolo di Cristo di affrancarsi dallo stato di ignoranza in cui generalmente l’uomo carnale sprofonda come in una putrido pantano. La conoscenza della natura umana, così come l’analisi del canestro di frutta, si apprende direttamente dall’osservazione dei comportamenti, dei gesti, delle parole e infine delle cose non dette o volutamente dimenticate. Omettere la parola è ancora più grave di un comportamento scorretto da cui si può ravvedere. Omettere la parola è più grave di un gesto ispirato dall’istinto da cui ci si può emancipare. Omettere la parola è più grave delle parole suggerite dalla pulsione che una volta soddisfatta può essere di nuovo ricondotta al bene. Non dimenticare di rispettare la parola data, ma allo stesso modo impegnati da dare la tua parola in tutte le situazioni in cui ti viene richiesto di ottemperare a un impegno a cui non sei preparato. Le prove aspettano sempre al varco. Non si può sfuggire alla legge della parola data in pegno del denaro, dell’amore, dell’amicizia o della verità, così come non si sfuggire alla legge degli impegni rigettati per codardia, interesse materiale, opportunismo, orgoglio e superbia. Le mele marce si riconoscono non in coloro che non sanno rispettare gli impegni presi, ai quali è sufficiente la legge degli uomini ad insegnare la negli individui che non si impegnano ad affrontare la verità e procedono attraverso la pratica dell’ omissione, della mistificazione o della delega, spesso perpetrata con l’astuzia, l’inganno e la falsità, ad acquisire con determinazione un vantaggio materiale o un potere personale. Guardati dai codardi, dai lussuriosi, dagli opportunisti, dagli orgogliosi e soprattutto dai superbi. La superbia il peggiore dei peccati che l’uomo può compiere contro Dio. Vorrei che tu leggessi con attenzione Sant’Agostino per cui la superbia coincide con la natura decaduta dell’uomo. Osservando le opere, le parole e le omissioni del superbo potrai comprendere pienamente le mie raccomandazioni e discriminare con serenità la luce dall’ombra, la freschezza dal decadimento, la lucentezza dall’opacità, l’armonia dal contrasto. La natura umana, ricordati, è come un canestro di frutta. Apparentemente in superficie gli uomini sembrano buoni, giusti, imparziali e corretti, ma in realtà , nell’Homine interiore decantato da Agostino, cova al suo interno l’elemento che lo conduce rapidamente in putrefazione. La caduta della natura umana nelle paludi putride generate dalla libido è uno dei temi cardine della dottrina del vescovo di Ippona e rappresenta il fulcro da cui può avere origine una razionale adesioni ai principi delle virtù. In ogni forma di apprendimento si deve procedere prima per negazione, affinché possa emergere con chiarezza gli effetti catastrofici generati da lucifero nell’universo siderale. La natura umana è sempre in bilico sul’estremità di un orrido. Finchè rimane sul piano orizzontale anche la frutta bacata presente in un canestro di frutta può essere gradita sia al palato che agli occhi, poichè anche l’errore, la superbia e l’orgoglio svolgono il loro ruolo all’interno dell’armonia”
Le parole del cardinale mi rimasero impresse nella memoria e solo dopo alcuni anni di studio, di riflessione e di indagine sulla natura delle sensazioni fisiche stimolate dalle forme, dai colori e dall’accostamento di elementi diversi all’interno di una unica rappresentazione, riuscii a dipingere il canestro di frutta che il prelato avrebbe voluto vedere dipinto. Anche adesso, mentre mi appresto a dipingere la lucente spada di Davide, ricordo con affetto la raccomandazione del Cardinale di rimanere umile al cospetto di coloro che detengono lo scettro della legge e della conoscenza. “ Sei solo un artista ignorante.Devi rassegnarti a fare della tua vita un banco di prova, di apprendimento e di ricerca. Non puoi illuderti di fare da solo. La conoscenza non è il frutto di un unico albero, ma è il raccolto delle rosse mele che crescono nel giardino delle esperidi. Usa il giallo come sfondo ed emergerà nella tua mente il bisogno di discriminare la bontà di ogni frutto, la giustezza del decoro delle foglie e la proporzione tra le parti non omogenee. Impara l’arte di salire sugli alberi per raccogliere i suoi frutti migliori. Non aspettare che cadano da soli, poichè verità, bellezza e conoscenza emergono nella mente al termine di una selezione accurata di ciò che matura nel cervello degli uomini. Cogli solo la frutta migliore, la più matura e gustosa e non cedere alla tentazione di rimanere pigro ad aspettare che il cibo adatto alla tua anima ti cada sulla testa, poichè ciò non accadrà mai.”

seconda lezione:
Impara l’arte di essere libero....




“Quante volte avrai incontrato nelle strade di Milano le belle zingarelle intente a leggere le mani degli stolti o a rubare abilmente la borsa dalla cintura dei distratti. Eppure il mondo non è malvagio per queste cose disdicevoli, siano esse furti di piccola o grande entità. I ladri sono ovunque, a ogni livello sociale e non c’è distinzione tra una zingara che sfila l’anello dalle dita di un cliente dal fornaio che sfila i soldi dall’acquirente modificando il peso della bilancia. Del frequentare la gente si ricava una meravigliosa chiarezza per giudicare gli uomini. E’ bene, figliuolo mio, che tu abbia esperienza del mondo poichè nel nostro piccolo angolo noi siamo tutti ristretti e rattrappiti in noi stessi; e non vediamo più in là del nostro naso. Domandarono a Socrate di dove fosse. Non rispose: “Di Atene”, ma: “Del mondo”. Lui che aveva la fantasia più ampia e più vasta, abbracciava l’universo come la sua città, estendeva le sue conoscenza, la sua compagnia e i suoi affetti a tutto il genere umano, non come noi che guardiamo soltanto sotto di noi. Quando a Caravaggio gelano le vigne il mio prete ne argomenta che è l’ira di Dio sulla razza umana e che il giorno del giudizio ci sta addossso, senza pensare che si son viste cose peggiori e che le disgrazie, le tempeste, le guerre, le malattie e la peste sono parte essenziale delal vita e della morte dell’uomo, fedeli sorelle da cui non è facile allontanarsi senza essere da esse inseguite. Eppure a colui a cui grandina sulla testa sembra che tutto il cielo sia in tempesta e in burrasca, senza accorgersi che appena a qualche centinaia di passi il sole continua a splendere. Da questi banali esempi di cecità umana puoi capire che noi tutti , prima o poi, cadiamo nell’errore di crederci al centro della scena, mentre invece siamo solo pallidi spettatori di eventi che ci sovrastano, e che ci danneggiano quanto più siano ciechi e stolti. Ma colui che si rappresenta, come in un quadro, nell’atto di osservare gli eventi da spettatore, nell’umile disposizione di essere parte integrante di madre natura nella pienezza della sua maestà; che le legge sul volto una varietà tanto generale e costante di situazioni, di eventi e cataclismi; e là dentro vede, non se stesso solamente, ma tutto un regno, come il segno di una punta sottilissima:quegli soltanto giudica le cose secondo la loro giusta grandezza.” Il Cardinale era un uomo appassionato e non si stancava di ribadire la stretta convergenza di significati esistenti tra la maestà della Natura e la Maestà della Madonna, madre degli uomini che si distaccano dal piano della ceca causalità attraverso l’adesione alla Fede, alla Speranza e alla Carità cristiana. Questo era il suo modo di farmi capire la dottrina, poichè le immagini della realtà sono solo un pallido riflesso dei simboli sacri, capaci di contenere tutto il Regno degli uomini come il segno di una punta sottilissima.
“Colui che abbraccia la fede nei poteri della Madre di generare il chaos perfetto o l’ordine perfetto non può che non essere umile nel cuore e povero di spirito, e cioè essere disposto arinunciare a comprendere attraverso le certezze del pensiero razionalizzatore. Questo gran mondo, che alcuni moltiplicano come specie sotto un genere, è lo specchio in cui guardare per conoscerci per il verso giusto, per cui, caro Michelangelo, specchiati nelle azioni altrui e impara l’arte di dire “non sono questo e non sono quello”. La nostra vita, diceva Pitagora, assomiglia alla grande e popolosa adunata dei giochi olimpici. Qui gli uni si esercitano il corpo per conseguire la gloria nei giochi; altri portano a vendere le merci per guadagnare. Vi sono alcuni, e non sono i peggiori, che non cercano altro frutto che guarda come come e perchè ogni cosa accada, ed essere spettatori della vita degli altri uomini per giudicarne e regolare la propria. Le parole di Persio sono ancora stampate nella mia memoria :
quid fas optare, quid asper utile njummus habet, patriae charisque propinquis Quantum elergiri deceat; quem te Deus esse Iussit, et humana qua parte locatus es in re; quidsumus, aut quidnam victuri gignimur;
Che cosa sia lecito desiderare, che utilità abbia il denaro dura a guadagnare; in quale misura ci si debba dedicare alla patria e ai propri cari; quale dio ha voluto che tu fossi e che parte ti ha assegnato nella vita umana; che cosa siamo e per che cosa siamo stati generati alla vita”.
Ascoltavo in silenzio, a volte sorpreso della facilità con cu il cardinale passava dalla parabola alla citazione latina, come se non ci fosse discontinuità tra le azioni e le parole, anzi che fossero le parole stesse a creare il perimetro di un regno ancora da decifrare.
“lo scopo dello studio non è conoscere a memoria i libri dei saggi ma è capire che cosa è da sapere e ciò che si può ignorare; che cosa sono il valore, la temperanza, la prudenza, la fortezza e la giustizia; che differenza c’è tra l’ambizione e la cupidigia, la servitù e la sudditanza,la licenza e la libertà; da quali segni si riconosce la vera e solida soddisfazione; fino a che punto bisogna temere la morte, il dolore e la vergogna, et quo quemque modo fugiatque feratque laborem, ovvero in che modo evitare o sopportare le pene, quali impulsi ci muovono, e le ragioni di moti ed emozioni così diversi in noi.
I primi ragonamenti con cui devi abbeverare la mente devono essere quelli che regolano i tuoi costumi e il tuo buon senso che ti insegneranno a conoscerti, a ben vivere e a ben morire. Ogni uomo è un artista quando impara l’arte che ci fa liberi. Le arti liberali ci insegnano a vivere ed a usufruire della nostra vita, ma scegliamo quella che serve a ciò direttamente e specificatamente, trascurando di fatto ciò che veramente essenziale a soddisfare la sete dell’anima. Se sapessimo contenere tutto ciò che riguarda la nostra vita nei suoi limiti giusti e naturali, troveremmo che la maggior parte delle scienze e delle conoscenze che si praticano non ci è di alcun profitto; ed anche in quelle che ci sono profittevoli, vi sono disgressioni a pprofondimenti assolutamente inutili, che faremmo meglio a tralasciare, limitando, secondo l’insegnamento di Socrate, il corso del nostro studio in questa direzione, perchè in esse l’utilità fa difetto.
Come Anassimene scriveva a Pitagora: “Con che coraggio posso perdere il mio tempo a conoscere il segreto delle stelle, quando davanti agli occhi ho sempre presente o la morte o la schiavitù?” Come è possibile che un uomo agitato dall’ambizione, dalla cupidigia, dalla temerità , dalla superstizione, più simile al mostruoso Golia che a un essere dotato di sentimenti, possa agire, pensare e creare le cose giuste per sè e per gli altri? Caro Michelangiolo, Golia è all’interno di noi, è il nemico che dobbiamo sconfiggere, poichè è il suo malefico occhio che ci impedisce di osservare il moto del mondo e apprendere le lezioni della vita con umiltà e coraggio interiore. La vera conoscenza è offuscata dalla vista libidinosa di Golia, vanamente proteso a conquistare glorie effimere invece di allargare lo sgaurdo alla dimensione spirituale dell’anima.
Lo sai perchè vinse il piccolo Davide? La sua fionda è il simbolo di come dovrebbero funzionare le due metà cerebrali, collegati sia al centro degli occhi, la sede della coscienza, che al centro del cuore, la casa dell’anima. Non credi che Davide sia la parabola dell’arte di essere liberi dai nemici interiori?“




Non avevo nulla da obiettare. Conoscevo appena qualche storia dell’Antico Testamento, come quella di Giuseppe e i suoi fratelli, ma non pensavo alla Bibbia come un testo da interpretare...Mi era stato insegnato che la verità biblica non si può interpretare e che i testi della rivelazione non potevano essere messi in discussione. Eppure l’argomentazione del Cardinale mi affascinava; le sue parole non erano vane, inutili o dette a sproposito, ma facevano presa in qualche zona oscura del mio cervello.
“L’Antico testamento è un testo di filosofia del riconoscimento di Dio all’interno del corpo umano, mentre il Nuovo Testamento è la rivelazione della scienza della trasformazione del figlio dell’uomo nel figlio di Dio. Il Vangelo descrive il processo di divinizzazione dell’anima attraverso i sacri crismi della coscienza di Cristo. Non pensare che questi temi siano sconosciuti al Santo Padre. Il papa di Roma governa sia la Chiesa che si rispecchia nella solarità delle virtù più sublimi insegnate da Cristo, sia la Chiesa di coloro che affrontano le prove della decapitazione dell’intelletto razionalizzatore, la dissoluzione dell’identità, del nome e della fedeltà allo stemma di famiglia e la crocifissione della volontà di evolvere attraverso il dolore e la sofferenza.
A Roma le due chiese convivono come il giorno e la notte; avrai sentito parlare del papa nero?”
Scossi la testa. Non mi inetressavano i pettegolezzi che giungevano da Roma, capitale del vizio e della depravazione dei sensi e nello stesso tempo luogo sacro e incorruttibile per lo spirito.
“Devi andare a Roma. La tua istruzione sulla natura umana sta per terminare e io non posso andare oltre a ciò che ti ho già detto. Adesso è giunta per te l’ora dell’esperienza diretta, ma prima devo insegnarti il significato della filosofia, altrimenti poco comprenderai della natura divina che alberga dentro di te, come in ogni altro essere. Ma, per favore, dipingi per me la testa di Medusa mozzata da Perseo. Tieni, portati a casa questo libro, ti sarà utile per trarre fonte di ispirazione.”

Lezione terza: la filosofia è uno specchio che riflette chi sei...



Passarono cinque mesi prima di incontrare di nuovo il cardinale. Avevo realizzato uno studio preparatorio di Medusa ed ero impaziente di sottoporlo al giudizio del prelato.
Finalmente, in giorno di Maggio, fui convocato nel vescovado milanese.
Il cardinale mi fece aspettare a lungo prima di rivevermi. Aveva l’aria preoccupata, come se dovesse risolvere problemi scottanti. Tuttavia la sia voce era calma, distaccata e priva di qualsiasi vibrazione. Accarezzandosi la barba bianca il cardinale, pur divagando in molteplici discorsi, giunse infine a sottilineare l’importanza delal filosofia, materia ancora troppo trascurata sia dai clerici che dai nobili.
“E’ molto strano che al nostro tempo le cose siano giunte al punto che la filosofia è, anche per le persone d’ingegno, un nome vano e fantastico, che non serve a nulla e non ha nessun pregio, sia in teoria che in pratica. Credo che ne siano causa quei cavilli che hanno invaso i suoi sentieri.
Si ha un gran torto a descriverla inaccessibile ai fanciulli, e con viso arcigno, accigliato e terribile. Chi me l’ha camuffata sotto quel viso falso, esangue e eripugnante? La filosfia non è il passatempo del malinconico, più propenso a poetare piuttosto che a riflettere. Infatti non c’è nulla di più gaio, di più vivace, di più giocondo e direi quasi, burlone. Il carattere sanguigno è il più adatto a ricercare le sfumature più ridicole presenti nell’animo umano, per cui , oserei dire che il principio della filosofiia è il motto di spirito, il proverbio e la battuta sarcastica, critica e velenosa. Essa non predica che festa e buon tempo. Una cera triste e sconsolata dimostra che la sua dimora non è qui. Non per niente si dice tra il volgo: “prendi la vita con filosofia; come se questa fosse una gran dama da prendere sottobraccio.
L’anima che alberga la filosofia dve, con la sanità, render sano anche il corpo. Deve far risplendere anche al di fuori la sua tranquillità e il suo benessere; deve dare la sua impronta al portamento esteriore e guarnirlo di un’amabile fierezza, di un’aria attiva e allegra e di un atteggiamento soddisfatto e bonario. Il dono lasciato dalla filosfia è la saggezza e il segno più caratteristico della saggezza è un giubilo costante; la sua condizione è come quella delle cose che sono al di sopra della luna: sempre serena. La saggezza del filosofo conta di rasserenare le tempeste dell’anima, e di insegnare a ridersi della fame e delle febbri, non con qualche epiciclo immaginario, ma con argomenti naturali e palpabili. La filosfia ha per fine la virtù, che non è, come dice la scuola, piantata sulla cima di un monte scoscieso, dirupato e inaccessibile. QUelli che l’hanno avvicinata la ritengono, al contrario, situata in una bella pianura fertile e fiorita, da cui essa vede, si, tutte le cose ben al di sotto di sè, ma dove chi ne sa la direzione può arrivare per strade ombrose, erbose e dolcemente fiorite, agevolmente e per un pendio facile e liscio, come quello delle volte celesti. Per non aver praticato questa suprema virtù , comparabile alle potenza della misericordia divina, bella, trionfante, amorosa, dilettevole e al tempo stesso coraggiosa, nemica dichiarata e irreconciliabile di ogni amarezza,dispiacere, timore e costrizione, avente perguida la natura, per compagni la fortuna e il piacere, essi sono andati, seguendo la loro debolezza, ad inventar quella sciocca immagine, triste, litigiosa, corrucciata, minacciosa, arcigna, e a collocarla sopra una roccia, in disparte, fra i rovi, fantasma per spaventare la gente. La Malinconia, sommamente amata dagli filosofi tedeschi in quanto effige di un mondo interiore in cui primeggia la solitudine, la tristezza e un morboso attaccamento alla propria anima carnale, non è ciò che devi ricercare.
I grandi maestri italiani del passato, come ad esempio Leonardo che abbiamo avuto la fortuna di veder lavorare qui a Milano, esercitavano la filosofia come i greci, ovvero come la più elevata virtù solare in grado di proteggere la creatura interiore. Guarda bene che ho detto “creatura” e non l’Homine interiore. L’uomo che vuole con tutto se stesso vivere libero da ogni forma di costrizione, e quindi libero di creare se stesso e la propia vita in forme artistiche, gode dela creatura divina che evolve al suo interno. La creatura deve essere difesa sia dalle tendenze distruttive dell’egoicità individuale, sia dalla tendenze suicide dell’anima psichica, capace di avvelenare il corpo di putriti veleni generati dall’ira, dall rabbia, dalla collera, dall’invidia, dalla gelosia e dal rancore. Adesso puoi comprendere che lo scudo forgiato da Atena per il coraggioso Perseo è l’eroe che si affida alla filosofia per proteggere la creatura dai nemici interiori.
Lo scudo riflette il volto di Medusa così come la filosofia riflette sulle orrendi e velenosi pensieri che serpeggiano nella testa di coloro che sono attratti dalla materia, dalla carne e dall’istinto di possesso. La lezione della filosofia avverte dei pericoloso incedere del nemico per non non venire sedotti, ammalliati e infine pietrificati dallo sguardo del mostro che sospinge l’uomo e la donna a dimenticare di prendersi cura di sè, della creatura che cresce in seno con l’esercizio quotidiano delle virtù. Il pregio e la nobiltà della vera virtù filosofica consistono nella facilità, nell’utilità e nel piacere di praticarla., cosa tanto scevra di difficoltà che i fanciulli ne sono capaci al pari degli uomini, i semplici al pari degli scaltri. La moderazione, non la forza, è il suo strumento, così la riflessione prodotta dallo scudo di Atena è il suo principale mezzo di indagine. Socrate, suo primo favorito, volutamente rinuncia alla sua forza intellettuale per adagiarsi nella semplicità e agevolezza del suo procedere. Essa è nutrice dei piaceri umani. Col farli giusti, li fa sicuri e puri. Moderandoli, mantiene in loro lena e gusto. Escludendo quelli che rifiuta, ci stimola verso quelli che ci lascia: e ci lascia in abbondanza tutti quelli che la natura e la creatura vuole, e fino alla sazietà, maternamente, se non fino alla stanchezza. La filosofia della moderazione è ciò che frena il bevitore prima dell’ubriacatezza e il mangiatore prima dell’indigestione, affinche il corpo possa godere della vita senza recare danno a se stesso e l’avidità diventi nemica dei nostri piaceri. Se le viene a mancare la fortuna comune, essa la rifugge o ne fa a meno, e se ne foggia un’altra tutta sua, non più fluttuante e instabile. Essa sa essere ricca, potente e sapiente, e dormire su materassi profumati. La filosfia che ti voglio suggerire di praticare ama la vita, ama la bellezza e la gloria e la salute. E’ figlia di Venere in Taurus, come dicono i più istruiti alla conoscenza della creatura, simbolo di ricchezza e prosperità, ma la sua funzione filosofica propria e specifica è di saper usare di quei beni con misura, e saperli perdere senza turbarsi: funzione ben più nobile che ardua, senza la quale ogni vita è snaturata, torbida e alterata, e vi si possono aggiungere appunto quegli scogli, quelle spine e quei mostri che serpeggiano irrequieti nelal mente degli uomini, chiamati spesso desideri, passioni e sogni inconfessabili.
Ma il problema di fondo, amico mio, sta nell’educazione dei giovani come te. Hai quasi vent’nni ma non conosci nulla di ciò che è importante da sapere.
Poichè la filosofia è quella che ci insegna a vivere, e poichè, come tutte le altre età, anche la fanciullezza trova in essa di che imparare, perchè non le viene insegnata. Credo che il tuo bel disegno sia l’unica risposta possibile. Le giovani menti hanno bisogno di essere istruite per immagini, con le storie di viasggi e di avventure, nelle stesse forme utiulizzate dalla mente fanciullesca dei filosfi greci, amanti degli eroi, dei mostri da sconfiggere e di interminabili battaglie e di perigliosi viaggi. La mente è come l’argilla, come ci fa capire Persio:
Udum et molle lutum est; nunc nunc properandus, et acri fingendus sine fine rota.
L’argilla è umida e molle; presto, presto, affrettiamoci e modelliamola sull’agile ruota che gira senza fine.Ci insegnano a vivere quando la vita è passata. Cento scolari hanno preso la sifilide prima di essere arrivati alla lezione di Aristotele sulla temperanza. Cicerone diceva che se anche avesse vissuto la vita di due uomini, non si sarebbe preso lo svago di studiare i poeti lirici. Ed io trovo questi cavillatori ancora più tristemente inutili. Il nostro fanciullo ha una fretta assai maggiore: all’struzione deve soltanto i primi quindici-sedici anni della sua vita: il rimanente è dovuto all’azione. Che un tempo così breve si impieghi per dare l’istruzione necessaria. Non sei anche tu d’accordo con me? Hai iniziato a lavorare molto giovane, ma non per questo hai la possibilità di ricevere un’istruzione adeguata alla tua anima. Sei un artista sanguigno e diventerai un ottimo discepolo, prima ancora che un buon filosofo, ma quanti morsi dovrai prendere dai ramarri?



Petite hinc,iuvenesque senesque, finem animo certum, miserisque viatica canis, diceva Epicuro all’inizio della sua lettera a Meniceo. “Cercate qui , giovani e vecchi, un termine sicuro per il vostro spirito e un viatico per la miseraq canizie”. Il più giovane non rifugga dal filosofare, nè il più vecchio se ne stanchi”. Chi fa diversamente, sembra dire, o che per lui non è ancora tempo di vivere felicemente, o che non è più tempo. Ascolta dunque questo consiglio. Ascolta attentamente sulle tue sensazioni, rifletti sui contenuti delle tua percezione del mondo e della vita e rifletti sul significato delle esperienze. La filosofia è un esercizio semplice. Collega tra loro le sensazioni e uniscile con le parole alla percezione delle immagini e infine, chiudi il cerchio dei tuoi ragionamenti stabilendo la necessità spirituale delle tue esperienze affinchè la creatura continui a vivere e nutrirsi di esse. E ricorda: niente avviene per caso e tutto accade per il meglio. Non pentirti di niente e confronta con distacco la filosofia che scaturisce dal tuo essere con quella altrui. Avrai molto da imparare e ancor più da insegnare.

martedì 29 maggio 2007

La ricerca del manoscritto

Eclisse di sole.
La piazza di Saturnia era gremita di gente che si agitava freneticamente con vetri affumicati, macchine fotografiche e cannocchiali per assistere, ben equipaggiata, all'evento del secolo.
Mi guardo intorno, mentre la luna inizia lentamente a oscurare la superficie del sole. Un po' defilato dal centro della piazzetta, ai limiti estremi di un piccolo giardino circolare, intravedo una bancherella di libri usati e mi avvicino a curiosare. Come al solito sbircio le immagini, le copertine..mi attraggono le vecchie edizioni....prendo in mano,per caso, un libriccino giallo, con le pagine sottili sottili, scritte con un carattere piccolissimo....non ci capisco niente, non ha titolo. Ritorno così alle prime pagine, sperando in qualche indizio e leggo: "Loggia d'Oriente di Pistoia" e poi rintraccio, sul retro della copertina, la data della pubblicazione:" 1888.
La luna è quasi giunta a semioscurare la luce del sole...anche il venditore di libri ha fretta di chiudere, così mi decido ad acquistarlo senza tanto pensarci su.

Dalle prime pagine:
"L'immagine di Michelangelo Merisi che la tradizione ci ha consegnato è racchiusa in una figura che incarna perfettamente il mito dell'artista maledetto, quella del genio moderno, dall'animo profondamente inquieto destinato a vivere in isolamento la fedeltà a sé stesso e a pagare a caro prezzo la libertà della propria visione e del proprio modo di intendere l'arte della raffigurazione. A questa rappresentazione hanno contribuito sicuramente le burrascose vicende che hanno animato la sua tormentata esistenza: l'omicidio, commesso durante una rissa, la sua fuga in pellegrinaggio per l'Italia e infine la morte disperata, in cui la leggenda ha preso il sopravvento, a Feniglia, una spiaggia toscana, dopo avere ottenuto il perdono papale per l'omicidio commesso. Ma sarebbe fuorviante scindere la vicenda umana di Caravaggio dalla poesia e dalla carica rivoluzionaria del suo percorso massonico ed artistico. Uno stile pittorico, segnato dalla forza drammatica del suo realismo, dalla capacità unica di coniugare realtà e verità attraverso l'uso particolare della luce. La luce penetra gli ambienti avvolti da profonde zone d'ombra, esaltando la tensione dei movimenti, rivelando i sentimenti delle figure umane, immersi in uno spazio non astratto, ma quotidiano. Luce che è, allo stesso tempo, reale e divina, che si sottrae e, sottraendosi, mostra nei corpi e nei volti un'umanità non fantastica e idealizzata, ma viva, e, dunque, tragica. Ed è proprio nella condizione tragica che la vita e l’arte di Caravaggio trovano il loro punto di raccordo e ci restituiscono l'immagine di un artista moderno e quello di un fratello spirituale in senso stretto."

La Loggia d'Oriente, grazie al contributo intellettuale di alcuni suoi eminenti esponenti, ha portato alla luce, riscritto in italiano corrente e pubblicato, un manoscritto su carta pergamena, ritrovato presumibilmente sulla spiaggia di Feniglia, in cui si evince, quasi per intero, il percorso spirituale compiuto da Caravaggio, dai suoi esordi fino al conseguimento della celebrità a Roma. Ringraziamo Carlo Lorenzini per aver decifrato e riscritto il testo e ricopiato fedelmente i disegni, della cui origine non siamo certi, ma che non esitiamo ad attribuire, per affinità di pensiero, al grande genio di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio."

Avevo appena finito di leggere la presentazione che la luce improvvisamente raggelò, diventò grigia, fredda, assente. L'eclisse era giunta al culmine e il sole illuminava la parte oscura della luna. Il sole nero...mistica visione della Realtà eterna: decollazione dell'ego, decapitazione della ragione, obliterazione del senso comune, cancellazione del nome e del punto di vista personale, calcinazione della pulsione, frammentazione dei significati e, infine, dispersione delle ceneri.

Per due anni mi affannai a cercare tra i documenti ufficiali della Massoneria almeno un cenno sul ritrovamento del manoscritto caravaggesco, senza ottenere nessun risultato apprezzabile. Solo al termine di un lavoro di analisi dei carteggi della loggia formata a Pistoia nel 1876, trovai una lettera che la contessa Antonella Dumont aveva inviato al Gran Maestro in cui si raccomandava il Carlo Lorenzini come un bravo letterato, autore pregevole di una fiaba in cui si descriveva la storia surreale di un burattino di legno, fabbricato dalle mani abili di un mastro falegname che desiderava ardentemente "crescere" un figlio.



Collodi, 11 Settembre 2001

Finalmente, dopo due mesi di intenso scambio di e-mail, ero riuscito ad ottenere il permesso per esaminare i documenti privati di Carlo Lorenzini in arte Collodi. L’autore di Pinocchio era stato tra i pochi studiosi a ricevere, tramite l’intercessione della Curia di Firenze, una dispensa ecclesiastica che gli permise di leggere l’Indice dei libri proibiti dalla Chiesa, messi al bando dalla Controriforma e poi dal Santo Uffizio fondato da papa Paolo IV nel 1559 e soppressa solo nel 1966.

Stavo rovistando tra le carte inerenti la costituzione del Grande Oriente Italiano (1861), di cui era presidente onorario Giuseppe Garibaldi, il primo di tutti i Liberi Muratori italiani, quando mi imbattei in un carteggio tra il Lorenzini e Giosuè Carducci.
Riporto la lettera di Carducci all’amico Lorenzini. .
"Credo che l’uomo non possa prescindere da una dimensione spirituale dell’esistenza e tutti i tentativi che si sono fatti per eliminare tale anelito verso l’alto, inequivocabilmente presente nell’umanità, hanno prodotto obbrobri sul versante della censura e della libertà di pensiero e il rafforzamento delle religioni rivelate sull’altro.
Come fa allora un laico, che non vuole delegare il suo rapporto col trascendente a nessuno e tantomeno a chi accampa diritti di esclusiva col Padreterno, ad avvicinarsi allo studio di ciò che non appare ai nostri sensi eppure percepiamo col dubbio e col ragionamento?
E’ possibile che la scelta debba essere, per un italiano, assoggettarsi ai dettami dogmatici della Chiesa Cattolica o rinunciare alla ricerca?
Questo non capisco: perché gli intellettuali ed anche gli artisti, non prendono atto che lo strumento della spiritualità laica esiste ed è la Massoneria?
La spiritualità è per me quella branca della ricerca dell'uomo intima e personale che non si può giovare del metodo scientifico ma che comunque si effettua con l'indagine e può non essere solo un luogo del pensiero come ritengono in molti.
Anche lì, come nella ricerca condivisibile (quella scientifica), ci sono delusioni e conquiste ed esiste un metodo tramandato dalla Libera Muratoria e costituito da riti e simboli che aiuta nell'intento.
A differenza delle religioni essa non impone dogmi e non si propone da tramite verso alcunché ma dà agli uomini che partecipano ai lavori in Loggia la possibilità di specchiarsi l'un l'altro per guardarsi dentro e perseguire lo scopo di conoscere se stessi.
Questo è l'unico scopo. Che c'è di più laico ed equidistante?: è il punto di vista del centro!
In fin dei conti è forse l'unica idea di organizzazione di livello planetario che affratella gli uomini lasciando libere le coscienze.
In quanto alla questione degli intellettuali e degli artisti che dovrebbero prendere atto di tutto questo è chiaro che se loro lasciano alla religione la "gestione" di quell'anelito verso l'alto presente nella generalità degli uomini, a difendere la laicità in maniera profonda e convinta, cioè senza doversi conformare in ultima analisi ad una lettura dogmatica della realtà, rimarranno solo gli atei e non credo che questo sia nell'interesse della cosiddetta Società Laica.
E non basta contrapporre al sistema strutturato della religione, generiche possibilità alternative di tipo personalistico, perché questo significa in pratica lasciarle l'egemonia.
In altre parole ritengo che sia necessaria una presa di coscienza da parte della parte laica della società. Presa di coscienza che poi si può calare negli atti con modalità tutte da stabilire e che vengono in un secondo momento. L'importante è che si giunga alla consapevolezza che data la presenza, nella maggioranza degli uomini, del desiderio di spiritualità, se se ne lascia la gestione in esclusiva alla Chiesa Cattolica, hai voglia a far leva sul concetto di laicità, quando nel profondo gli uomini, alla fine, di fronte ai problemi esistenziali, trovano solo la Chiesa a dare risposte!
In tali condizioni il pensiero laico è destinato a restare largamente minoritario. La conclusione logica per me è che la parte laica della società, appunto, dovrebbe curarsi delle strutture dove è coltivata la spiritualità laica ed io, che di queste ne conosco solo una, dico che tale attenzione dovrebbe essere prestata alla Massoneria o, almeno, anche ad essa.
Un abbraccio fraterno.
Giosuè Carducci
Roma
6 Gennaio 1881




Collodi, 12 Settembre 2001

E’ curioso il fatto che tre anni dopo, Nel 1884 fu pubblicata l'enciclica Humanum Genus di papa Leone XIII, che segnò probabilmente il momento più alto di scontro tra la Chiesa cattolica e la massoneria: il documento pontificio, oltre ad addebitare alla massoneria "atroci vendette… su chi sia creduto reo di aver tradito il segreto e disubbidito al comando, e ciò con tanta audacia e destrezza, che spesso il sicario sfugge alle ricerche ed ai colpi della giustizia", sosteneva che l'obiettivo dei massoni era quello di "distruggere da cima a fondo tutta la disciplina religiosa e sociale che è nata dalle istituzioni cristiane, e sostituirla con una nuova, modellata sulle loro idee, e i cui princìpi fondamentali e le leggi sono attinte dal naturalismo".

Alla lettera del Carducci seguiva la copia della lettera spedita da Carlo Collodi all’amico poeta, ma non ebbi tempo di leggerla. Un frastuono di voci proveniva dalla stanza adiacente . La televisione stava trasmettendo in diretta il crollo delle Twin Towers di New York…
Le due torri gemelle…. I simboli dell’impero giudaico-cristiano si stavano sgretolando sotto gli occhi del mondo…ma non era immaginazione, stava accadendo davvero. La maledizione proferita sul rogo da Giordano Bruno prima di essere arso vivo si stava avverando...... L'Occidente giudaico-cistiano stava piangendo per gli atti terroristici compiuti dal fanatismo mussulmano e occultava nella memoria
le efferate stragi perpetrate dall'Inquisizione cattolica, spagnola e italiana, contro ebrei e miscredenti. Collodi avrebbe detto in proposito "la farina del diavolo va tutta in crusca".

La lettera spedita da Carlo Lorenzini al Carducci conteneva un passaggio significativo in proposito:
"..tu sai che sono solo un povero grullo, non sono mai stato, e mai lo diventerò, come scrisse in nostro comune "nemico" Giovanni Prati, "Un lunatico apostolo d'un simbolo politico e religioso". Sono per mia natura, esperienza e tradizione del mondo e quindi cultura, un giornalista laico, arguto e critico, quanto basta per non schierarmi né con papi, né con liberi muratori. Non sopporto ogni forma di fanatismo; mi si ribolle il sangue nelle vene nel rileggere
la storia d'Italia in balìa dei fanatici, siano essi cattolici o atei della peggior specie.

Cos'è il fanatismo? E' prendere la propria fede per un sapere, o volerla imporre con la forza bruta, o con quella delle parole e delle immagini, della censura o della manipolazione delle idee altrui. Le due cose, quasi sempre, vanno di pari passo: dogmatismo e terrore si alimentano a vicenda.
La religione è un diritto. L'irreligione anche. Bisogna dunque sforzarsi di proteggere l'una e l'altra, o addirittura una contro l'altra se necessario, impedendo ad entrambe di imporsi con la forza. E'questo in sostanza ciò che chiamo "essere laico", ed è l'eredità più preziosa che ci giunge dall'Illuminismo e prima ancora dal nostro Rinascimento. Giorno dopo giorno scopro la fragilità di questa scelta di intelligenza e di lucidità. Ragione di più per difenderla, anche se oggi, ti confesso, sono profondamente pessimista sulla possibilità di un vero cambiamento delle
coscienze. Si avvicina per me il tempo dell'esilio interiore, dell'introversione nel ventre della balena....come Giona rientro nel ventre molle della mia mente, per coltivare, nutrire e difendere la libertà del mio spirito. La libertà di spirito è forse la sola cosa che sia più preziosa della pace. Perché senza di essa, anche la pace non è altro che schiavitù."


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13 Settembre 2001

La depressione sofferta da Carlo Collodi iniziò probabilmente nel 1878. Per sei anni, fino al 1884, l'autore di Pinocchio si ritirò dalle frequentazioni mondane e anche la sua attività di giornalista mordace e irriverente si ridusse progressivamente fino a spegnersi. Alcuni critici moderni avevano rintracciato nella "malattia" del Lorenzini le ragioni di una effettiva "morte giornalistica e spirituale", tanto che nel 1984 era uscito un libro in cui si ipotizzava un diretto legame del suo ritiro con le esperienze della Nigredo alchemica.

Per gli alchimisti della Nigredo "la morte dell'anima e la decapitazione dell'ego" rappresentano i punti estremi della discesa all'inferno, l'ultimo piano "interrato" raggiunto dall'ascensore del diavolo, prima di invertire il senso di marcia. Collodi pubblicò a puntate le avventure di Pinocchio nel "Giornale dei Bambini" il 7 Luglio 1881, tre anni dopo aver soggiornato nella villa seicentesca della Marchesa Antonella Dupont, cugina, da parte di madre, di Giuseppe Mazzini. Percepivo l'esisteva di un legame segreto tra l'origine della depressione e quella vacanza estiva trascorsa tra le soavi colline toscane.




11 Ottobre 2003.


Erano trascorsi 25 mesi dal crollo delle Twin Towers e la situazione mondiale era precipitata nella seconda guerra all'Iraq di Saddam. Il 1° maggio 2003, il presidente George W. Bush aveva proclamato la fine dei combattimenti: "Nella guerra contro l'Iraq, gli Stati Uniti d'America e i suoi alleati hanno prevalso", ma ancora non era riuscito a catturare il Rais, il simbolo del male.

Da quando avevo con me il libro di Michelangelo Merisi trascritto da Collodi, avevo iniziato a considerare plausibile l'esistenza di una possibile salvezza "laica" dell'anima. Gli eventi mondiali non stavano forse dichiarando che anche l'umanità stava discendendo negli inferi della Nigredo ipotizzata dagli alchimisti?
Mi chiedevo se l'esperienza individuale della "redenzione dal male" potesse essere estesa simbolicamente a ciò che stava succedendo in Iraq. La coscienza collettiva occidentale voleva identificare in Saddam il Male da ricercare ed estirpare dal "corpo collettivo".
E la distruzione delle due torri di New York? Non simboleggiavano forse la "definitiva" morte dell'Anima cattolica e la reiterata decapitazione dell'Ego spirituale ebraico? Giusto o sbagliato che fosse il mio ragionamento, ispirato dalla profezia di Giordano Bruno, era innegabile che il nuovo millennio aveva iniziato nel peggior dei modi...ma come diceva spesso Collodi..."non tutto il male veniva per nuocere".

Immerso in queste plumbee riflessioni giunsi a San Sepolcro con la speranza di trovare ulteriori indizi nella residenza estiva della Marchesa

Suonai a lungo la campana appesa al grande cancello senza ottenere risposta. Poi mi accorsi dell'esistenza di un campanello elettrico e sorrisi pateticamente del mio gesto istintivo. Mi sentivo strano, come se stessi vivendo qualcosa che era già accaduto molto tempo addietro. Mi sembrava di essere scisso in due: una parte conscia razionale che viveva nel presente e una parte conscia impersonale che stava rivivendo una esperienza del passato. I rintocchi della campana mi ricordarono il teorema di Bell: "Nell'Universo vige il principio di non località, attraverso il quale i fenomeni avvengono come se ogni cosa fosse in diretto contatto con ogni altra, indipendentemente dallo spazio fisico e dal tempo che le separa."
Il teorema elaborato dal fisico John Steward Bell nel 1960 era già stato anticipato dalle scoperte dalla ricerca scientifica nei primi anni del secolo. Tutto era partito con l'esperimento di Einstein, Podolsky e Rosen compiuto l'8 Maggio 1908 a Vienna. L'esperimento era consistito nel separare due particelle accoppiate o "gemelle" (nate insieme nello stesso evento), modificare il comportamento di una e osservare contemporaneamente il comportamento dell'altra. Una delle proprietà che descrive le particelle subatomiche è il senso di rotazione, definito spin. Ebbene, se a una delle due particelle, una volta separata e allontanata dalla "sorellina", viene invertito il senso della rotazione, istantaneamente e indipendentemente dalla distanza che separa le due particelle anche la "sorellina" inverte il suo senso di rotazione.
Il teorema di Bell dimostra più estesamente che un'esperienza di interazione tra due particelle avvenuta nel passato, oppure "con" il passato, tramite un libro, un brano musicale oppure una immagine, crea tra le stesse una forma di "collegamento" che va oltre lo spazio e il tempo.

Per un attimo ipotizzai che alcune "particelle di coscienza" di Carlo Lorenzini mi fossero "entrate" nel cervello tramite il libro su Caravaggio e stessero "lavorando" autonomamente per condurmi ad alcune risposte....Mi tastai la fronte...non avevo la febbre...eppure vaneggiavo.

Il cancello si aprì automaticamente ed entrai all'interno di un meraviglioso giardino, popolato di camelie e di gatti bigi....